I prodigi
di Silvana Rodriguez e Giorgio Genetelli

I prodigi
Andavano, i Prodigi, di passo in passo raccogliendo avanzi e frutti in luoghi incerti.
Si scaldavano l'un l'altra e si incamminavano a guardare con timore e meraviglia il mare senza nome.
Attraverso ghiacci sconfinati ancora andavano, i Prodigi, in cerca di prati dov'era traccia di qualcosa di solingo e nato, una preda viva o un'erba.
Potevano vivere, parlare e poi cantare, scrivere e suonare.
Per capirsi, certo: ogni Prodigio è sabbia pura da tratteggiare a segni invitti, per sé o per te, anche per me o per altri.
Affiorarono valli dissepolte, ancora spoglie, e i Prodigi vi incontrarono il pensiero.
Dovendo immaginare, furono chiamati a ragioni sconosciute e imposte nell'attesa.
Si ancorarono, i Prodigi, a luoghi certi, costruzioni mobili e poi ferme, le valli di suolo profumato, gemme e fiori.
L'attesa era finita: coltivare.
Poi possedere, avanzare, lottare, conquistare.
Il mare da solcare aveva un nome, ora, e le scoperte ai venti proclamate.
Tutti i Prodigi, un giorno dopo l'altro, si sentirono però stranieri, i loro passi impavidi divennero invasioni o fughe, con altra lingua e altri modi.
Bastoni, lance, archi, cannoni, bombe, veleni, tradimenti, esalazioni e ceneri.
Neppure la lingua universale che aveva inaridito gli altri idiomi poté più riunire i Prodigi dispersi nelle solitudini dell'ego.
Non fu ritorno alla coscienza antica, foss'anche solo per bisogno: procedettero verso l'estinzione dopo avere posto pietre e fili elettrici sul mondo, svaniti i profumi e i colori, svuotate le parole e i canti.
Però tu sei qui adesso, e resisti e ancora guardi: che mistero è questo?
Andavano, i Prodigi, di passo in passo.
Giorgio Genetelli